Le cipolle di Cannara? Le conoscono tutti perché da tanto hanno superato i confini dell’Umbria. Erano famose oltre un secolo fa quando la regione era tutta contadina, però non sappiamo come si viveva più di un secolo fa, quando la vita era scandita solo dai ritmi dei lavori agricoli e dalla cura delle bestie. Il signor Mario Scaloni, di Cannara, mi ha fatto leggere dei documenti d’epoca e quello che segue è un breve quadro della vita contadina in quegli anni, cipolle comprese.
Nel 1882 Cannara contava 2592 abitanti di cui 200 proprietari terrieri e tutti gli altri contadini o braccianti. In quell’anno viene stampato uno studio di Guido Baldacci sulle Condizioni agricole ed economiche del territorio di Cannara. La situazione era veramente deprimente, la vita del contadino oscillava tra dura e durissima, praticamente era la stessa di 1000 anni prima e anche di più. Nel 1882 non ci sono macchine per lavorare la terra, non ci sono prodotti chimici per concimare la terra; l’Italia di allora era una terra essenzialmente contadina e tale è rimasta fino agli anni ’50 del secolo scorso.
Baldacci osserva, commenta, ma vede poche soluzioni. I contadini mangiano poco e male, si nutrono solo di legumi, di mais e verdure. Baldacci, uomo del suo tempo, ammette che se allevassero qualche coniglio l’alimentazione ne trarrebbe vantaggio. Trova anche che la terra andrebbe coltivata meglio e se non rende abbastanza è colpa dei contadini che non ascoltano i consigli e ripetono i gesti vecchi di millenni. Non accettano le nuove teorie, perché i contadini non accettavano consigli da chi non lavora la terra. L’agricoltura era ancora una scienza di nicchia. Le terre della valle e quelle della costa erano troppo sfruttate e non erano coltivate bene perché la zolla andava lavorata in profondità , lavorata con la vanga. Ma lo strato di argilla era molto duro, le macchine non c’erano, l’unica macchina era la schiena e la schiena dei contadini è robusta ma ha un limite. I corsi d’acqua erano stati regolati vent’anni prima, come racconta Baldacci con soddisfazione, adesso si contenevano le acque ed erano spariti gli acquitrini fonte di malaria, anche se un po’ di malaria restava in zona, ma era un inconveniente normale e non meritava troppe parole.
A quell’epoca le cipolle avevano già conquistato il mercato perché quella di Cannara si conservavano bene, duravano anche nove mesi senza marcire. Una prerogativa importante quando la conservazione era un problema gigantesco. Il consumo della cipolla non era riservato solo all’uso locale, ma a Cannara arrivavano mercanti da varie parti d’Italia anche da di Livorno. I livornesi mettevano le cipolle sulle navi e le esportavano.

Il vino invece era solo una produzione locale. Si beveva molto la Barbera, ma le coltivazioni che un secolo dopo esploderanno erano già in zona. A mezza costa c’erano i vitigni della Vernaccia, che veniva raccolta quando gli acini erano appassiti. Il vino era buono, ma pallidino, allora si provvedeva a tingerlo con un vinello di zona meno importante che chiamavano Tintarolo e la Vernaccia assumeva un bel colore rosso rubino. Oggi il Tintarolo esiste ancora, non si usa per modificare altri vini, ha perso il suo nome originale e tutti lo conoscono con il nome nobile di Sagrantino.
Naturalmente si coltivavano gli olivi: non molti come adesso, ma davano un olio così buono che prese un diploma a Londra e la medaglia di bronzo a Firenze. L’olivo era utile, ma gli animali erano più importanti. A fronte di 2592 abitanti c’erano 4683 animali, tra vacche, agnelli asini e cavalli. Gli animali erano fonte di reddito e di sopravvivenza, dovevano mantenersi in buona salute. Ogni tanto però si ammalavano e se era proprio necessario si chiamava il veterinario. I soldi erano sempre pochi quindi il medico per curare le persone non era previsto, meglio aver cura degli animali.

Fu attorno al 1880 che il dott. Abramo Marchetti, un veterinario militare, si trovò a bazzicare le campagne attorno a Cannara. Conosceva bene il paese e sapeva che, per avere una medicina sia per umani siaper animali, i cannaresi dovevano andare fino a Santa Maria degli Angeli. Una bella passeggiata di circa 10 chilometri all’andata e 10 al ritorno. Anche se a quei tempi erano abituati ad andare a piedi, in caso di urgenza, andare e tornare richiedeva troppo tempo. Allora il dott. Marchetti decise di prendere il diploma di farmacista e aprì una piccola spezieria (che chiameremo farmacia) proprio a Cannara. All’epoca un farmacista era un chimico-artigiano che preparava i rimedi nel laboratorio e spesso aveva anche un piccolo orto botanico dove crescevano le erbe che gli servivano. In molte farmacie si preparavano anche alcolici. Ad esempio nelle zone delle repubbliche Baltiche si produceva vodka, in quelle delle Alpi non mancava la grappa, nel laboratorio di farmacia non poteva mancare un distillatore.
Sicuramente il dott. Marchetti avrà utilizzato le sue conoscenze veterinarie per curare anche gli animali e preparare farmaci e rimedi per le bestie. Il lavoro era manuale e artigianale insieme. Le compresse si facevano lì per lì usando uno stampo particolare e si vendevano sfuse. Anche lo sciroppo non si vendeva in bottiglie, ma a cucchiaiate da consumare sul posto. Accadeva lo stesso anche con l’olio di ricino, un potente lassativo: si andava in farmacia a prenderne un cucchiaio e poi via a casa di corsa. Se il farmacista stava lavorando in laboratorio, che spesso era la cucina di casa, qualcuno doveva restare al banco. Marchetti mette al banco l’assistente di farmacia, una figura abituale sempre presente. Qui a Cannara però avviene un fatto nuovo che suscitò non poco scalpore: il Marchetti si faceva aiutare dalla moglie Maria Aurora Baldaccini. Lei però non aveva titoli, le lauree non erano state ancora istituite e le donne non potevano accedere nemmeno al diploma. Maria Aurora era figlia di farmacisti e aveva imparato le nozioni base in famiglia. Una donna che lavorava in farmacia all’inizio avrà fatto scandalo: si infrange una rigida tradizione maschile e, quando qualcosa comincia a incrinarsi, inizia una crepa che va avanti ed è inarrestabile. Cinquant’anni dopo nel 1936, entreranno nella farmacia di Cannara ben 3 farmaciste laureate. La crepa era arrivata in fondo.

Renata Covi

Ultimi post di Renata Covi (vedi tutti)
- Racconto della Cannara di fine ‘800: vino, cipolle e una donna in farmacia - Aprile 15, 2025
- Romea Germanica: l’antica via di pellegrinaggio, oggi si può ripercorrere a piedi o in bici - Dicembre 12, 2024
- Quando l’Italia perse la testa per una figurina - Settembre 19, 2024